Un po’ di storia
Nel 2009 San Leo è passato dalle Marche all’Emilia Romagna.
L’influsso etrusco fu determinante per l’evoluzione della vitivinicoltura di questo territorio, ma anche i Greci svolsero un ruolo importante nell’impianto del vigneto romagnolo. Gli Etruschi, stando a quanto asserisce lo scrittore romano Varrone, scesero nella pianura romagnola e costruirono i centri di Faenza, Forlì e Imola, bonificarono i vasti acquitrini dei territori di Adria e di Spina — dove sorsero Argenta e Ferrara — e piantarono l’olmo e il frassino, la canina e la spergola.
Con l’avvento dei Romani – che denominarono la regione proprio per indicare il loro radicato dominio sul territorio – la produzione fu razionalizzata. Plinio il Vecchio scrive che i vini di Cesena sono generosi, mentre Marziale, forse riferendosi ad alcuni terreni acquitrinosi, asserisce che a Ravenna sarebbe stato più gradito possedere una cisterna d’acqua che una vigna. Si può quindi pensare che i vini di quell’epoca fossero solo onesti vini da tavola.
Nel 402, con il trasferimento della capitale dell’Impero Romano d’Occidente a Ravenna, iniziò una eccezionale fioritura artistica che portò in quella zona, con i marmi pregiati, anche il vitigno refosco terrano, conosciuto in Romagna come cagnina.
Nel XIV secolo compare l’albana, insieme al trebbiano e alla malvasia, e lo stesso Dante, in un passo del Purgatorio, fa riferimento al 'buon vino di Forlì'.
Nei secoli che seguono, la vitivinicoltura non cessa di prosperare, tanto che Andrea Bacci, nel 1596, nella sua De naturali vinorum historia, descriveva alcuni vini come il Sangiovese e l’Albana.
Numerosi testi dei secoli XVII e XVIII parlano ampiamente del crescente sviluppo della viticoltura della regione, ma sul finire dell’800 compaiono oidio e peronospora, e nel 1906, vicino a Cesena, la fillossera distrugge più del 90% degli impianti viticoli e fa vivere alla coltivazione della vite un periodo tragico, dal quale si riprenderà lentamente e con grande fatica.
L’ambiente pedoclimatico
L’Emilia-Romagna è una regione estesa su oltre 22.000 kmq, è sfiorata per un breve tratto dall’Appennino ligure e da quello tosco-emiliano, prosegue lungo il corso del Po per un vasto tratto della Pianura Padana, con uno sviluppo di 135 chilometri di coste bagnate dal Mare Adriatico.
Il comprensorio romagnolo è praticamente diviso a metà dall’antica Via Emilia; percorrendo questa strada consolare verso il mare, a destra si trovano le zone collinari e montuose dell’Appennino, costituite in prevalenza da rocce marnoso-arenarie, gessose e calcaree, mentre a sinistra si estende buona parte della pianura di origine alluvionale che, piatta e uniforme, arriva fino alla costa sabbiosa del Mare Adriatico. In passato, la pianura intorno a Ravenna era acquitrinosa e scarsamente abitata, ma in seguito a importanti lavori di bonifica si è trasformata in una fertile campagna irrigata.
I fiumi che scendono dall’Appennino sul versante orientale sono tutti tributari del Mare Adriatico. Il Reno raccoglie le acque dei torrenti Idice, Sillaro, Santerno e Senio; quasi interamente romagnoli sono il Lamone, il Montone e il Ronco, il corso dei quali, unificato nell’ultimo tratto fin dal 1700, prende il nome di Fiumi Uniti. Altri fiumi sono il Savio, lo storico Rubicone, l’Uso, il Marecchia, il Marano e il Conca.
Il clima romagnolo risente dell’influsso del mare, quindi è abbastanza temperato e mite, ma in inverno sono presenti umidità, nebbie e freddi intensi. I rilievi montuosi e collinari dell’entroterra determinano condizioni climatiche con marcate escursioni giornaliere e annuali e con estati fresche. Nel complesso si può quindi definire come un clima subcontinentale, caldo in estate e freddo in inverno, ma senza eccessi. Le precipitazioni sono prevalentemente invernali e primaverili, più copiose sui rilievi.
La gastronomia
La cucina romagnola è un regno privilegiato della gastronomia e i suoi piatti eccellono per saporoso vigore, così come sono sanguigni i suoi abitanti, che preferiscono una cucina un po’ più irruenta e meno sfumata di quella emiliana. Non è un caso, forse, che a Forlimpopoli sia nato Pellegrino Artusi, autore del libro La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene, che ha dato un’impronta unitaria alla cucina italiana.
Numerose varianti di tortellini e cappelletti sono il fil rouge della cucina emiliano-romagnola.
Portabandiera della cucina romagnola e di estati spensierate, la piada o piadina è un impasto azzimo di farina, acqua e strutto, cotta lentamente a fuoco di legna su piastra refrattaria. Una compagna perfetta, a qualunque ora del giorno e della sera, per salumi profumati e per il delizioso squacquerone.
La Romagna sente la salsedine del mare, e la cucina ne subisce l’influsso. L’insalata di mare – vongole, cozze, calamari, gamberi e cipollette spruzzate di limone – e le sarde marinate con succo di limone, aglio, prezzemolo e olio extra vergine, sono alcuni dei gustosi antipasti che possono anticipare un delizioso brodetto alla romagnola, con triglie, pesce cappone, anguille, coda di rospo, canocchie e altro ancora.
Anche in Romagna i primi piatti sono soprattutto a base di pasta all’uovo, come i cappelletti romagnoli ripieni di formaggio, i garganelli, i passatelli – fatti con parmigiano reggiano, pane grattugiato e uova fresche, cotti in brodo di carne o asciutti –, gli strozzapreti e i tortelloni alle erbe.
L’agnello arrosto è un piatto tipico della Romagna collinare.
I rilievi appenninici forniscono ottimi funghi e carni di selvaggina, per la preparazione di sughi per condire primi piatti e cucinare gustosi secondi piatti.
Tipica della cucina romagnola è la porchetta – maialino da latte cucinato intero al forno, ripieno di erbe aromatiche e condito con finocchi selvatici tritati, spicchi d’aglio, rosmarino, pepe e noce moscata, bagnato con vino – e altrettanto gustosi sono il maiale al latte – profumato anche con lamelle di tartufo – e la fasuleda alla romagnola, ottenuta con fagioli secchi ammollati, salsiccia fresca, cipolle e cotica di maiale. Russi, in particolare, è legata al belecott, una via di mezzo tra il cotechino e la salsiccia matta a base di carne di maiale, tritata e insaporita con cannella e chiodi di garofano, da servire con patate lessate o in purea.
Gustosi sono anche l’agnello alla romagnola, dorato in un fondo di burro e lardo, il bue garofanato, le braciole di castrato sulla graticola, l’anatra alla romagnola con pancetta, aromi e vino, e le pernici saltate con tartufi e scalogno.
Molti piatti possono essere arricchiti con il delicato scalogno di Romagna IGP, con le erbe officinali e aromatiche di Casola Valsenio, con i pregiati tartufi di Dovadola e con un po’ di olio extra vergine di Brisighella o Colline di Romagna DOP.
Numerose, ovviamente, sono le specialità a base di pesce, come il pesce azzurro preparato in tutte le maniere, le capesante gratinate, le grigliate miste e gli spiedini di gamberi o calamari freschissimi, cotti su fuoco di legna e conditi con sapide salsine, le frittatine di bianchetti, le seppie con i fagioli, il merluzzo con le patate e le triglie con il prosciutto di artusiana memoria.
Splendido e intenso è lo stagionato formaggio di fossa di Sogliano, piacevole e delicato il morbidissimo squacquerone, entrambi DOP.
Il dolce romagnolo per eccellenza è la ciambella distesa – senza il buco –, seguita dal bustrengo e dal burroso amor polenta, un tronchetto fatto con l’amido di mais. Altri dolcetti sono il pan del nonno a base di amaretti e nocciole, il migliaccio preparato soprattutto nei giorni in cui viene ucciso il maiale, le mistocchine, i sabadoni – inzuppati nella saba per vari giorni –, i zalett ottenuti anche con la farina di mais tipici di Ravenna e le varie crostate. Il miacetto è il tipico dolce della vigilia di Natale e della Quaresima e si prepara solo a Cattolica, mentre nel periodo di Carnevale si consumano le frappe o sfrappole e le castagnole.