Un po’ di storia
A Todi, oltre 2000 anni fa, si produceva vino
dal vitigno locale tudertis.
In Umbria, regione scolpita dal Tevere e dai suoi affluenti in un dolce altopiano ondeggiante di colline, la coltivazione della vite risale a epoche antiche, come testimoniano i reperti rinvenuti nelle tombe etrusche, ricche di stupendi vasellami enoici. Questo popolo, presente in Umbria dal VII secolo a.C., rivolse particolare cura alla viticoltura, usando spesso il suo nettare nei riti religiosi. Perciò, all’arrivo dei Romani, questi scoprirono popolazioni già abituate a godere del succo delle viti. Ce lo confermano Virgilio e Plinio il Vecchio, che parlano delle viti predilette dagli Etruschi, le apianae – dalle quali si ottenevano vini dolci –, del tudertis – vitigno di Todi – come peculiare dell’Etruria e del murgentina, diffusissimo nella limitrofa Chiusi, ma di origine pompeiana.
Per molti secoli non si hanno altre notizie particolari, al di là di quelle comuni un po’ in tutta Italia, legate soprattutto all’opera di salvataggio della viticoltura svolta dagli ordini monastici, soprattutto dai Cistercensi e dai seguaci di San Benedetto da Norcia.
Spoleto, centro in cui da secoli si produce vino.
Si arriva così al 1549, quando Sante Lancerio, bottigliere di Papa Paolo III Farnese, affida alla penna le preferenze del Pontefice e definisce eccellente il vino rosso sucano delle parti di Orvieto, portato in grande quantità a Roma. Quasi cinquant’anni dopo, Andrea Bacci darà un quadro ampio ma confuso della vitivinicoltura umbra: cita i vini di Gubbio, i Moscati di Città di Castello, Spello, Assisi, Amelia, Norcia, Narni, Spoleto, Todi e Casteltodino, ma soprattutto i vini di Orvieto.
Nei secoli successivi solo l’Orvieto conferma la sua fama, anche se alla fine del XIX secolo, prima dell’invasione fillosserica, i dati del Ministero dell’Agricoltura confermano la presenza di sangiovese e sagrantino a Montefalco, di trebbiano sulle colline e di trebbianello in pianura, e che i vini umbri si distinguono per sapidità e freschezza non comuni.
Solo dagli anni ’30 e nel II Dopoguerra la vitivinicoltura umbra coglierà i frutti del suo rinnovamento, con il riconoscimento delle prime Denominazioni di Origine.
L’ambiente pedoclimatico
L’Umbria è una piccola regione che sfiora gli 8500 kmq, senza sbocchi sul mare, prevalentemente collinare e in parte montuosa.
Le valli Tiberina e Umbra separano gli aspri rilievi appenninici orientali da quelli subappenninici occidentali, più bassi e arrotondati, formati da rocce più tenere, in prevalenza arenarie e argille. Le pianure sono poco estese e situate dove un tempo c’erano antichi laghi, colmati da depositi alluvionali, mentre altre zone lacustri sono state prosciugate artificialmente in tempi più recenti.
Intorno a Orvieto, nella Marca di Tuscia, l’ambiente è ideale
per la produzione di splendidi vini muffati.
I terreni dell’Appennino, di origine calcareo-dolomitica, sono ricoperti da boschi e pascoli, mentre nelle zone subappenniniche si sviluppano bene viti e olivi. Le colline intorno al Lago Trasimeno, quelle tra Assisi e Perugia e nella zona di Torgiano hanno terreni argilloso-calcarei, con presenza di marne grigie, tufi e residui vulcanici dotati di ottima permeabilità. Nelle zone sud-orientali della regione si estende il territorio dell’antica Marca di Tuscia, dove si trova Orvieto, habitat ideale per lo sviluppo della vite.
Il fiume principale è il Tevere, che attraversa la regione, riceve le acque del Nestore e del Paglia da destra, del Chiascio e del Nera da sinistra, ed entra nel territorio laziale. Dei numerosi invasi lacustro-paludosi di antica origine, oggi pianure bonificate, resta il Lago Trasimeno.
Il clima della regione risente di un’impronta submediterranea, che favorisce lo sviluppo di una rigogliosa vegetazione e che rende l’Umbria il cuore verde d’Italia. Gli inverni non sono eccessivamente freddi e le estati sono calde, ma ventilate e asciutte, soprattutto nelle zone più basse. Sopra i 600 metri, il clima presenta invece forti escursioni termiche, sia giornaliere sia stagionali.
Le precipitazioni tendono ad aumentare andando dalle colline più basse e riparate verso i monti, più esposti alle correnti di aria umida. La piovosità è abbastanza ben distribuita nell’arco dell’anno, con una certa prevalenza nel periodo primaverile. Le giornate di gelo e neve sono poco frequenti, salvo nelle zone al di sopra dei 1000 metri.
La gastronomia
Prevalentemente montuosa e collinare, l’Umbria propone una gastronomia contadina, basata su piatti tipici poco conosciuti al di fuori del territorio regionale, che talvolta risente dell’influenza delle cucine confinanti, come quella toscana, marchigiana e laziale. Ingredienti base sono i prodotti della terra, ben amalgamati dalle erbe aromatiche, come rosmarino, salvia, maggiorana e finocchio selvatico, e deliziosamente conditi dall’oro liquido umbro, l’eccellente olio extra vergine di oliva Umbria DOP, che deve riportare in etichetta l’indicazione della sottozona, Colline del Trasimeno, Colli Assisi-Spoleto, Colli Martani, Colli Orvietani o Colli Amerini.
La norcineria umbra è l’arte di preparare splendidi salumi.
Gli antipasti segnano il trionfo del suino umbro, anche di quello nero, allevato allo stato brado e alimentato soprattutto con ghiande e castagne.
Apprezzatissimo è il prosciutto di Norcia IGP – da cui i famosi norcini, coloro che lavorano la carne suina – magro, compatto, stagionato e saporito, seguito dal capocollo, aromatizzato con pepe nero e aglio e diffuso in tutta la regione. Profumate e invitanti sono le salsicce di Spoleto e quelle secche di Foligno, la mortadella di Casera e Preci, la soppressata di Gualdo, il ciauscolo di Visso, la porchetta al forno di Costano, la coppa preparata con gli scarti e la testa del maiale, con vino, scorza d’arancia, pepe e sale. E ancora la corallina – ottenuta da spalla e rifilature del prosciutto, macinate e mescolate con dadini di grasso di suino, il tutto conciato con pepe, sale, aglio e vino –, i budellacci – interiora di suino condite con sale e semi di finocchio, affumicate ed essiccate sotto la cappa del camino e poi cotte alla griglia – e i mazzafegati di Gubbio, salsicce piccanti di fegato di maiale, forti oppure dolci, con aggiunta di pinoli, bucce d’arancia e uva passa. E poi il migliaccio, impasto di sangue fresco di maiale, pane grattugiato e lardo sminuzzato, i numerosi salumi della Valnerina, su tutti il delizioso zampone di cinghiale tartufato.
Oltre ai salumi, antipasti gustosissimi sono la bruschetta – pane abbrustolito, strofinato con aglio e condito con olio extra vergine e sale – e i crostini con fegatini di pollo, arricchiti di aceto, vino ed erbe aromatiche.
Molto particolari sono i primi piatti, tra i quali gli spaghetti alla norcina – conditi con una salsa di olio extra vergine, cipolla, salsiccia e pepe nero –, la minestra di farro con cipolla e pomodorini, l’impastoiata – un impasto di polenta e fagioli conditi con salsa al pomodoro - e l’imbrecciata di Gubbio, un mix di dodici legumi e cereali, cotti separatamente, conditi con un filo di olio extra vergine e serviti con pezzetti di pane tostato. Le ciriole ternane sono tagliatelle grossolane fatte in casa e condite con pomodoro o tartufo, i tipici strascinati sono ottenuti da una sottile pasta all’uovo arrotolata su un ferro da calza e conditi con uova sbattute e formaggio, gli umbricelli sono spaghettoni tirati a mano e conditi nei modi più vari, e gli strangozzi sono una pasta lunga condita anche con il tartufo.
La cucina umbra, come molte altre, non può rinunciare a un piatto caldo di cappelletti in brodo, con un ripieno di carne di maiale e di vitello, prosciutto, parmigiano reggiano, mortadella e noce moscata.
Il risotto alla norcina è mantecato con parmigiano reggiano e tartufo nero, e le fettuccine con le noci – condite con una salsa di noci tritate, zucchero, cioccolato a pezzetti e una spruzzata di cannella – sono un tipico piatto della vigilia di Natale, tradizione condivisa con la zona di Montefiascone.
I tartufi neri della Valnerina e di Norcia impreziosiscono molti piatti tradizionali umbri.
Conigli e pollame, faraona e selvaggina – soprattutto da piuma, come pernici, fagiani, tordi e palombacci – recitano un ruolo fondamentale nella cucina di questa regione. I palombacci sono preparati in salmì o alla ghiotta – con una salsa fatta con olio extra vergine, pepe, salvia, olive, acciughe, aceto, vino rosso e buccia di limone –, oppure allo spiedo, come i palombacci d’Amelia o quelli all’uso di Todi, cotti allo spiedo e poi in tegame con prosciutto. Altri piatti tipici sono la lepre alle olive, le beccacce alla norcina e le quaglie rincartate tipiche di Orvieto.
Molto gustosi sono anche le anguille alla brace – specie quelle del Lago Trasimeno –, il tegamaccio di pesci di lago in umido, il palombo alla ghiotta – cotto allo spiedo con una salsa a base di aceto, vino e prosciutto –, la regina in porchetta – carpa molto grande svuotata e riempita con un mix di erbe varie –, la trota del Clitunno alla griglia oppure condita con mollica di pane, prezzemolo, rosmarino e olio extra vergine.
Tra i contorni più tipici si possono ricordare i gobbi alla perugina – cardi fritti con ragù di carne o pomodoro –, la frittata al tartufo o i tartufi neri avvolti in fettine di pancetta e arrostiti. L’Umbria, infatti, è un’immensa tartufaia. Pregiatissimi sono i tartufi neri della Valnerina, di Norcia e dei dintorni di Spoleto, oltre a quelli bianchi dell’Alta Valle Tiberina. Un’altra specialità è il formaggio tartufato, arricchito dai profumi e dai sapori di questo pregiato prodotto della terra, oltre a varie caciotte, provole affumicate e scamorze.
Buoni, ma non molto numerosi sono i dolci, tra i quali si possono ricordare il brustengolo – impasto di mele tritate, pinoli e noci – e la ciaramicola perugina, una focaccia lievitata dolce con meringa all’italiana con Alchermes, un liquore inventato da un monaco orvietano. La formula passò poi ai Medici e rimase per secoli un segreto, oggi svelato, in quanto si tratta del prodotto ottenuto per infusione alcolica di chiodi di garofano, cannella, coriandolo e noce moscata, aromatizzato con essenza di rosa e colorato con rosso di cocciniglia. Buonissime sono anche la rocciata di Assisi, la torta di Orvieto – simile al panettone, con canditi, uova e uva passa – e l’attorta, una torta attorcigliata di pasta sfoglia con mandorle tostate e tritate. E poi le pinoccate – dolcetti tondeggianti formati da un impasto di zucchero e pinoli, talvolta anche canditi –, i biscottini birbanti e gli zuccherini di Bettona, ciambelline di pasta dolce con uvetta, pinoli e semi d’anice.
La famosa cicerchiata è un dolce di Carnevale nato in Umbria e poi emigrato in altre regioni, apprezzato come il pan nociato, il pan pepato, il torciglione – a base di pasta di mandorle dolci e amare –, gli strichetti e le tisichelle. La ciaccia dolce di Città di Castello è un dolce a pasta lievitata con uvetta e canditi, tipico del periodo pasquale e, infine, il torcolo di San Costanzo è una ciambella con canditi, pinoli e semi di anice, dedicata a uno dei patroni di Perugia. Senza dimenticare che il capoluogo umbro è la città del cioccolato.