La Storia, l'Ambiente e la Gastronomia
del Molise

Un po’ di storia

Per tentare di avere qualche informazione sulla coltura della vite in Molise, è necessario giungere al 5000 a.C., nel periodo in cui si esprime la cultura di Ripoli, che delinea le genti abruzzo-molisane come comunità basate su un’economia mista, fatta di agricoltura e pastorizia.

Questa economia si è consolidata in Età preromana, con l’affermarsi delle popolazioni sannite, tra le quali le più importanti erano quelle dei Pentri, dei Frentani e dei Caraceni. Questi popoli erano anche viticoltori, ma quando il territorio sannitico diventò una colonia romana, iniziò a spopolarsi.

Gli storici romani dedicarono grande attenzione al contrasto tra Roma e le popolazioni sannite, ma furono molto avari di descrizioni vitivinicole, tanto che si può pensare che il Molise avesse una modesta produzione di uva e di vino. Ma Plinio il Vecchio, nel descrivere alcuni vini dei territori della penisola, cita quelli di Isernia tra quelli di ottima qualità.

Il silenzio continua nell’Alto e nel Basso Medio Evo e tenebre profonde si hanno anche nel Rinascimento, anche se nei Capitolari e nelle Cronache dei grandi monasteri benedettini si trovano testimonianze di donazioni di terre, vigne e frutteti da parte di principi e feudatari, oltre a quelle dei cittadini di Guglionesi, nell’XI secolo, ai monasteri di Tremiti, di San Vito e di Veterana, gli ultimi due ora scomparsi.

Il tintilia è un vitigno che si presta bene all’appassimento.

Alla fine del XVII secolo l’Abate Pacichelli trova gustosi i vini di Guglionesi e di Campobasso, ma è singolare la critica di Francesco De Sanctis – storico di Ferrazzano –, che critica i viaggiatori che descrivono i paesi senza visitarli e si esprime nei suoi confronti con le parole poco lusinghiere ‘così Pacichelli era capitato a Campobasso, aveva preso alloggio in un’osteria e aveva preso per vero quello che l‘oste gli aveva detto’.

Nel XVIII secolo, vari documenti attestano la diffusione di vigneti in Molise, con la citazione di numerosi comuni; la produzione di vino supera il fabbisogno locale ed è quindi commercializzato in altri territori.

A cavallo tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo si assiste a una spinta innovativa nella vitivinicoltura e il tintilia trova in regione un ambiente ideale per dare buoni frutti.

Nel 1871 lo storico Galanti annota che il Molise ha una grande produzione di vino e lo vende in Abruzzo. Nel periodo 1884-1894 si producevano circa 283.000 ettolitri di vino, con viti poste a coltura a palo vivo, per lo più maritate all’acero. L’aspetto più interessante è che i vini molisani rappresentavano quasi un anello di congiunzione tra quelli abruzzesi e quelli pugliesi; tra i bianchi figuravano il Trebbiano, il Greco, il Cacaccione, il Cacciadebiti e il Bombino bianco, e tra i rossi il Montepulciano e soprattutto il Sangiovese. Nonostante l’invasione fillosserica, questo quadro rimane più o meno immutato sino agli anni ’70.

 

L’ambiente pedoclimatico

Il Molise si estende su un piccolo territorio che sfiora i 4500 kmq, prevalentemente montuoso e collinare, abbracciato dalle montagne nel centro della penisola, ma anche bagnato per un piccolo tratto dal Mare Adriatico.
I rilievi appenninici del Molise presentano un andamento irregolare e procedendo verso il Mare Adriatico si trovano piccole colline costituite prevalentemente da arenarie e argille, soggette a frequenti fenomeni di erosione.

La maggior parte dei terreni molisani è di tipo argilloso-sabbioso e di colore giallo-rossiccio, con zone ghiaiose di colore rossastro per l’elevato contenuto di ferro; quelli più fertili si trovano lungo il Biferno, grazie alla scarsa profondità delle falde acquifere.

L’unico fiume piuttosto importante che scorre interamente nel territorio regionale è proprio il Biferno (83.5 km), che sfocia nel Mare Adriatico, così come il Trigno e il Fortore; nel Mar Tirreno sfociano invece il Volturno e il Tammaro. Tutti questi corsi d’acqua hanno regime torrentizio e risentono delle variazioni stagionali e delle precipitazioni. L’unico bacino lacustre da citare è quello del Lago Occhito, ai confini con la Puglia.

Il clima del Molise è molto vario, con sostanziali differenze tra quello della fascia costiera e quello dei rilievi dell’interno. Sul litorale è tipicamente marittimo-mediterraneo, con modeste escursioni termiche, temperature miti in ogni stagione e scarse precipitazioni, mentre nell’interno è continentale, con notevoli differenze di temperature giornaliere e stagionali, e intense precipitazioni, anche a carattere nevoso.

 

La gastronomia

Rustica e genuina, la cucina molisana risente degli influssi della cucina abruzzese, ma anche di quelle laziale, campana e soprattutto pugliese, e si presenta a due facce, quella agreste nell’entroterra e quella marinara lungo la costa, che si sviluppa essenzialmente attorno a Termoli.

Un menu molisano inizia in genere con affettati misti molto saporiti, come la soppressata, le salsicce al finocchio o al pepe nero conservate nel grasso, le mulelle, salumi ricchi di peperoncino, i nirvi e musse – tipico antipasto della zona di Campobasso ricavato dal musetto di vitello – e il meno noto saggicciotto. Ma il simbolo della salumeria molisana resta la ventricina, da consumare con fette di fragrante pane casareccio.

Tra i primi piatti si trovano i fusilli al sugo – arrotolati e un po’ schiacciati –, i crejuoli o crioli con le noci, le laganelle – maltagliati all’uovo con fagioli ed erbe aromatiche –, le malefante con fagioli e cotiche, la pizza di grano con le bietole, i maccheroni con la mollica e la fascadiella, una polenta condita con ragù. Invitanti e gustosi sono i calcioni di ricotta, farciti con ricotta, provolone, uova e prosciutto, fritti in abbondante olio extra vergine.

Spiedini di agnello e capretto alla brace,
specialità della cucina molisana.

Agnello e capretto, alla brace o in tegame, dominano le tavole molisane. Il cacio e uova è composto da pezzi di agnellino cotti in casseruola con olio extra vergine, aromi, uova sbattute e pecorino grattugiato, i torcinelli sono involtini di budellino di agnello con interiora a pezzetti, uova sode ed erbe aromatiche, e la pezzata di Capracotta si ottiene cuocendo pezzi di capretto e di agnello allo spiedo. Altrettanto sfiziosi sono il cicillo – polpette di pane, formaggio e uova con pomodoro o in brodo con pezzetti di salsiccia –, il coniglio alla cacciatora e il maiale ai peperoni.

Diverse sono anche le preparazioni a base dei prodotti dell’orto, come le cinfele e tanne de rapa – gnocchetti di farina con cime di rapa condite con pancetta, aglio, olio extra vergine e peperoncino –, i lacci – sedani – e le patate tipici di Campobasso, il risciusce – un mix di legumi e cereali –, le taccozze tipiche di Carpinone, con lardo soffritto e abbondante peperoncino piccante.

Secondi di pesce di antica tradizione sono il pappone – zuppa a base di pancotto e pesci di scoglio con un po’ di pomodoro –, il baccalà arracanate gratinato in forno con pane grattugiato, mandorle, noci e uva passa –, mentre nelle zone interne è apprezzata la trota al forno, pescata nei torrenti di montagna.

Formaggi e latticini non sono numerosi ma gradevoli, sia freschi – ricotte, scamorze, mozzarelle e stracciata – sia stagionati, come il caciocavallo di Agnone, il pecorino di Capracotta e altri pecorini, a volte arricchiti con il peperoncino.

Tra i dolci si trovano la cicerchiata natalizia, la pigna, i casciatelli e i picellati – tipici del periodo pasquale –, i caragnoli e gli sfingeli di San Giuseppe, le frittelle di pasta cosparse di miele e il fiadone, torta pasquale con un ripieno di uova sbattute, zucchero, cannella, pecorino dolce e scorza di limone.

AIS Associazione Italiana Sommelier - Copyright 2015 - Tutti i diritti riservati dalla legge sui diritti d'autore