Un po’ di storia
Il Castello di Torrechiara, nel Parmense, è un intreccio
di elementi del Medio Evo e del Rinascimento.
Anche se le ricerche archeologiche collocano la coltura della vite in questa regione assai indietro nel tempo, la vigna vede i suoi esordi intorno al 1700 a.C., stando ai reperti rinvenuti dell’Età del bronzo.
Circa un migliaio di anni dopo giunsero gli Etruschi i quali, come testimonia lo scrittore latino Varrone, fecero compiere alla vitivinicoltura un salto di qualità, portando nuovi vitigni e la coltura razionale della vite, nonché adeguate tecniche produttive. Le nuove varietà importate permisero alla Vitis vinifera di prendere il sopravvento sulla Vitis labrusca citata da Virgilio, che cresceva spontaneamente nella bassa Pianura Padana. Certo è che nel 187 a.C., quando Marco Emilio Lepido costruì la strada consolare Emilia, non poté che ammirare le splendide vigne e l’abbondanza della loro produzione. Gli autori latini, soprattutto Varrone, giudicavano infatti questa regione eccezionale per le alte produzioni vinicole, ma poiché le fonti romane non accennano a nessun vino in particolare, resta il dubbio che a tanto vino non corrispondesse altrettanta qualità.
Nel Medio Evo i vini emiliani cominciano a migliorare e sono apprezzati sulle mense patrizie.
Tra il XIII e il XIV secolo compare il trebbiano, che a detta di Pietro de’ Crescenzi 'fa nobile vino e ben serbatojo'. Compare anche la malvasia e nei secoli successivi la vitivinicoltura non cessa di prosperare.
Nel XVI secolo Andrea Bacci loda i vini emiliani e nel XVIII secolo compare il Lambrusco, che avrà un successo tale da meritare lodi e poemetti. I vini emiliani diventano famosi anche all’estero, e in epoca napoleonica, nel Parmense, i vini di maggiore pregio erano le Malvasie del Colle e il Berzemino, rispettivamente esportati in Francia e in Spagna, ma erano apprezzati anche il Moscato e il Trebbiano.
Tutto questo ribollir di tini fu messo in crisi nel XIX secolo: la fillossera distrugge il 90% dei vigneti della regione, che saranno ricostruiti in molti decenni, dai quali la viticoltura emiliana uscirà con un volto completamente diverso.
L’ambiente pedoclimatico
L’Emilia-Romagna è una regione estesa su oltre 22.000 kmq, è sfiorata per un breve tratto dall’Appennino ligure e da quello tosco-emiliano, prosegue lungo il corso del Po per un vasto tratto della Pianura Padana, con uno sviluppo di 135 chilometri di coste bagnate dal Mare Adriatico.
Il territorio a sud della Via Emilia è interamente montuoso e collinare e appartiene, seppure non interamente, al versante padano dell’Appennino tosco-emiliano; la sua cima più alta è il Monte Cimone (2165 m). Gli Appennini degradano verso la pianura con valli trasversali definite dai corsi d’acqua, più o meno ampie e profonde secondo la maggiore o minore resistenza dei terreni, formati in prevalenza da argille, marne e calcari. Dalle estreme propaggini collinari si passa alle ondulazioni dell’alta pianura ciottolosa, con una decisa presenza di arenarie, oltre le quali si estende l’ampia e fertile pianura alluvionale.
Comacchio, il caratteristico scorcio dei Tre Ponti.
Se si esclude il Po, tutti i fiumi – affluenti di destra del Po – hanno regime torrentizio, con piene autunnali e primaverili, e sono il Tidone, il Trebbia, il Nure, l’Arda, il Taro, il Parma, l’Enza, il Secchia e il Panaro; solo il Reno tributa direttamente le proprie acque al Mare Adriatico.
Un tempo la bassa pianura emiliana era solo una grande palude; oggi restano gli specchi lacustri del delta del Po e le Valli di Comacchio, in parte emiliane e in parte romagnole, lagune di acqua salmastra comunicanti con il mare.
Il clima ha caratteristiche subcontinentali, con inverni freddi ed estati calde, ma sulla costa il caldo estivo è mitigato dalle brezze del Mare Adriatico; verso l’interno le escursioni termiche si accentuano e in pianura l’inverno è caratterizzato da grande umidità e fitte nebbie. Le precipitazioni sono copiose in autunno e aumentano progressivamente dalla pianura verso le colline e le montagne, dove superano anche i 3000 mm/anno.
La gastronomia
L’Emilia è una terra ricca di alberi da frutto e di vigne, e la cucina emiliana è morbida nei sapori e nelle consistenze, godereccia come i suoi abitanti, allegri e amanti della buona tavola.
Le tigelle sono perfette in abbinamento
con i saporiti salumi emiliani.
Sulle tavole emiliane i salumi recitano la parte del leone, su tutti il prosciutto di Parma e quello di Modena, il culatello di Zibello, il salame, la coppa e la pancetta di Piacenza, tutti DOP. Altrettanto gustosi sono il fiocco di culatello e il fiocchetto, il prosciutto crudo di Langhirano, la coppa di Parma, la pancetta canusina, la mortadella di Bologna IGP, il salame Felino e i ciccioli montanari di Modena. E ancora il cappello da prete, a Parma ottenuto con la coscia del suino, mentre a Modena e a Bologna la carne è come quella dello zampone e del cotechino, anche questi IGP, e la salama da sugo ferrarese. Perfetti, questi ultimi, serviti con purea di patate o beneauguranti lenticchie.
Oltre ai prelibati salumi, gli antipasti propongono i bocconotti alla bolognese – vol-au-vent riempiti con ragù a base di rigaglie di pollo –, la mortadella impanata e fritta, i burlenghi – frittelle di farina, uova e latte –, la burtlèina – a base di burlenghi accompagnati da una fetta di coppa di maiale –, i gonfietti al formaggio – composti da acqua, farina, gruviera, mortadella, burro, uova e poi fritti – e l’erbazzone, una torta salata con spinaci bolliti, lardo, aromi, parmigiano reggiano e uova. E le deliziose tigelle, servite calde con lardo fresco, aglio, rosmarino, sono perfette per accompagnare i salumi più gustosi.
Le lasagne al forno sono un emblema
della ricca cucina regionale.
In Emilia il filo conduttore dei primi piatti è la pasta all’uovo, anzi la sfoglia, preparata rigorosamente a mano. Tagliatelle, tagliolini, quadrettini, pappardelle, lasagne e maltagliati sono conditi con sughi diversi, utilizzati per gustose paste ripiene o cotti in brodi fumanti.
Tra i primi piatti emiliani si possono quindi ricordare gli anolini o anulen di Parma e di Piacenza, pasta ripiena di carni stracotte, parmigiano reggiano e uova, serviti in brodo di cappone e manzo, i famosissimi tortellini di Bologna, i cappelletti ferraresi di carne e i cappellacci di magro e di zucca, le morbide lasagne al forno, con strati succulenti di ragù e besciamella, e le tagliatelle alla bolognese, con ragù di carne di manzo, prosciutto, burro, cipolla, carota e sedano.
Piatto regale delle feste di Carnevale è il pasticcio ferrarese di maccheroni, che risale al ’700, formato da una pasta dolce esterna farcita con funghi, tartufi, carne e pasta, seguito dai maccheroni di Bobbio con funghi porcini, dalla torta di bietole e dai tortelli alle erbe. E poi i pisarei e fasöi – gnocchetti tipici del Piacentino, conditi con sugo di pomodoro e fagioli –, la bomba di riso – farcita con piccioni in umido e salsa a base di funghi – e la zuppa alla bolognese, con semolino, parmigiano reggiano, mortadella, uova e burro.
I secondi piatti sono altrettanto numerosi, ricchi e gustosi. Un vero trionfo di carni è il bollito misto modenese, a base di zampone e cotechino, testina e lingua di vitello, cappone e piedino di maiale, servito con salsa verde o con mostarda.
Parmigiano reggiano e Aceto balsamico tradizionale: un abbinamento di grande suggestione.
Apprezzati sono i secondi a base di carni di vitello e manzo, come le cotolette farcite, lo stracotto alla piacentina, la trippa alla reggiana, ma anche il capretto alla piacentina – cotto in casseruola con cipolla, olio extra vergine, burro e vino bianco –, le crocchette di pollo – con pollo lesso tritato, mortadella e besciamella –, il polpettone di tacchino e la faraona alla creta. Tipici sono anche i bocconcini alla modenese – sandwich dorati di fettine di pane bagnate nel latte e fritte, farcite di prosciutto e di formaggio – e le lumache alla bobbiese.
Fagiano all’uva nera e lepre sfilacciata – bollita, disossata e aggiunta di lardo, cipolla e prezzemolo –, sono i più famosi piatti a base di selvaggina.
Le principali specialità di pesce sono il baccalà alla bolognese – cotto in tegame con olio extra vergine, burro ed erbe aromatiche –, i calamari ripieni e le anguille alla comacchiese, cotte in salsa di pomodoro con aceto e cipolla, aglio e olio extra vergine.
Non mancano numerose preparazioni a base di prodotti dell’orto, come i cardi al forno con ragù di carne e parmigiano reggiano, le cipolle di Medicina, le fave alla bolognese con mortadella, cipolle novelle, noce moscata e brodo, gli asparagi all’emiliana, preparati con i famosi asparagi verdi di Altedo, prosciutto crudo, parmigiano reggiano, panna e besciamella. E poi le melanzane marinate, con aglio, foglie di alloro e aceto, la torta di patate con parmigiano reggiano, uova, latte e olio extra vergine, i gustosi funghi porcini di Borgotaro IGP e il tartufo nero di Fragno – entrambi IGP – che impreziosiscono numerose preparazioni.
Qualche goccia densa e profumata di pregiato Aceto balsamico tradizionale di Modena o di Reggio Emilia DOP può arricchire piatti tradizionali o innovativi, dagli antipasti ai dessert.
E poi grandi formaggi DOP, come parmigiano reggiano, grana padano e provolone valpadana.
Il dolcissimo finale riserva piacevoli sorprese, come gli amaretti di San Geminiano – tipici di Modena e più soffici di quelli piemontesi –, le crostate di ricotta, di frutta o di crema pasticcera piuttosto soda, le sfrappole e i tortelli di marmellata, dolci tipici dei giorni di Carnevale, quando a Parma si preparano le chiacchiere di suora. Sempre specialità di Parma sono le scarpette di Sant’Ilario per celebrare il patrono e gli amarettini di Salsomaggiore. A Reggio Emilia è famosa la quattrocentesca spongata – un involucro di pasta frolla con aggiunta di miele, pinoli, uva passa, frutta candita, pan biscotto polverizzato e spezie –, mentre il biscione reggiano è preparato soprattutto nel periodo natalizio, decorato con una bianchissima meringa.
Nel Ferrarese i dolci più noti sono la zuppa inglese, il panpepato, la brazadela o ciambella, le frittelle di riso e i mandorlini del ponte.
Tra i dolci emiliani sono da ricordare anche la crema fritta, l’erbazzone dolce – con bietole bollite, tritate e mescolate con ricotta, zucchero e mandorle –, il pan speziale e la zuppa emiliana, a base di pan di Spagna, zucchero, latte, uova, farina e cioccolato amaro. E a Piacenza è molto apprezzato il croccante, a base di zucchero e frutta secca.