La Storia, l'Ambiente e la Gastronomia
del Veneto

Un po’ di storia

Le colline venete, da secoli, forniscono le uve
per la produzione di ottimi vini.

Alcuni reperti fossili risalenti a circa quaranta milioni di anni fa, rinvenuti nella pesciara di Bolca di Vestenanova sui Monti Lessini, hanno fissato nella roccia l’immagine di alcune foglie e infiorescenze delle Ampelidee, progenitrici dell’odierna Vitis vinifera sativa. A quei tempi l’uomo non era ancora comparso sul pianeta, e per ritrovare altri segni certi e degni di nota si deve arrivare all’Era delle palafitte, lungo le coste del Garda bresciano, a Peschiera e a Lazise nel Veronese, dove sono stati rinvenuti vinaccioli e utensili, forse collegabili a rudimentali processi di vinificazione.

Intorno al 1000 a.C. i Veneti si insediarono nella regione, seguiti tra il VII e il V secolo a.C. dagli Etruschi e dai Reti Arusmati; l’intreccio delle loro tecniche colturali fece muovere i primi passi, con un certo successo, verso la produzione di vino.

L’arrivo dei Romani migliorò la situazione e portò alla fama il vino Retico, quello dei Colli Euganei e del Vicentino, magnificati da Marziale. Ma come in tutta Italia, specialmente in quella settentrionale, le invasioni barbariche e le lotte continue portarono la coltura della vite alla decadenza, al punto tale che perfino San Zeno, Vescovo di Verona nel IV secolo d.C. – che oggi compare nel marchio di tutela dei vini veronesi DOC Custoza, Soave, Bardolino e Valpolicella –, nelle sue omelie sottolineava l’importanza dello sviluppo del settore vitivinicolo, offrendo spesso dal pulpito consigli per una produzione corretta.

Nei secoli successivi, la vigna sembra diventare la coltura prevalente, arrivando a un’ampia diffusione intorno al 1000 e prosperando ancora di più sotto la Serenissima Repubblica di Venezia, al punto che la torchiatura delle uve si ritroverà nel nome di alcune località come Torco Livaro e Torco Gualtalo.

Nel XVI secolo, il bolognese Leandro Alberti nella sua opera Descrittione di tutta Italia (1550) evidenzia che i Colli Euganei sono ricoperti di 'belle vigne' e che Treviso produce vini 'perfettissimi'; nello stesso periodo si distinguono i vini di Conegliano e di Vicenza e la viticoltura è sempre più estesa. In questo quadro idilliaco, il rigidissimo inverno del 1709 provocò un improvviso, grave tracollo, al punto che moltissimi vigneti dovettero essere reimpiantati e diedero i loro frutti solo dopo diversi anni. Questo portò anche all’annullamento delle fiorenti esportazioni di vino veneto in Germania, al punto che verso la fine del XVIII secolo la situazione vitivinicola era desolante. E anche qui, nel secolo successivo, oidio, fillossera e peronospora causarono danni gravissimi, tanto che il vigneto si dovette rivestire a nuovo: accanto ai pochi vitigni autoctoni sopravvissuti compaiono quelli bordolesi e borgognoni, nonché altri provenienti da diverse regioni d’Italia. Da questo insieme molto vario di vitigni si ricostruiranno le basi della nuova vitivinicoltura veneta.

 

L’ambiente pedoclimatico

Le Tre Cime di Lavaredo.

Il Veneto è una grande regione che occupa quasi 18.500 kmq, si affaccia sul Mare Adriatico e con un piccolo spicchio confina a nord con l’Austria.
La parte settentrionale è montuosa e comprende una serie di rilievi prevalentemente calcarei, come il Monte Grappa (1775 m) e l’Altopiano di Asiago, formato da una conca centrale (1000 m) delimitata a nord da un secondo altopiano, racchiuso dal Monte Verena e da altre cime di altitudine compresa tra i 2000-2300 metri. E, sullo sfondo, i bellissimi gruppi dolomitici del Civetta, del Cristallo e dell’Antelao superano i 3000 metri.
Solitari, nella pianura, si innalzano i Monti Berici e i Colli Euganei, in gran parte formati da rocce vulcaniche e calcaree e, nel Trevigiano, i Colli Asolani e i Colli di Conegliano-Valdobbiadene.

La grande pianura veneta occupa oltre la metà del territorio, si estende dal Mincio al confine con la Lombardia e dal Po al Tagliamento, ed è divisa in alta e bassa da una fascia di risorgive.

La costa si estende ad arco tra le foci del Po e del Tagliamento, è bassa, uniforme e interessata da ampie aree lagunari che costituiscono un paesaggio di transizione tra la terraferma e il mare.

Ponte Vecchio sul Brenta, a Bassano del Grappa. 

L’economia prevalentemente agricola della regione è favorita dalla presenza di molti fiumi e canali, anche navigabili, con una grossa capacità idrica. I principali fiumi sono il Po, l’Adige e il Piave, mentre rivestono un interesse marginale il Mincio e il Tagliamento. Tutti gli altri corsi d’acqua – Brenta, Bacchiglione, Livenza, Sile, Zero e Dese – hanno origine nella regione prealpina e attraversano la pianura, arricchiti dalle acque di risorgiva. Le maggiori portate si hanno nei mesi autunnali e soprattutto primaverili, per le abbondanti precipitazioni e per l’acqua che deriva dallo scioglimento delle nevi.

A eccezione del Lago di Garda, i laghi veneti sono pochi e piuttosto piccoli, tra i quali, per esempio, quelli di Misurina e di Alleghe.

Il clima del Veneto presenta notevoli escursioni termiche stagionali e diventa continentale man mano che ci si allontana dal Mare Adriatico. Sulla costa veneta è caldo e afoso in estate, solo in parte mitigato dalle brezze marine, mentre in inverno le temperature raggiungono raramente valori molto bassi. Sulle rive del Lago di Garda il clima è particolarmente mite e favorisce la coltivazione dell’olivo e degli agrumi.
Sui rilievi prealpini aumentano sensibilmente le escursioni termiche giornaliere, mentre tendono a diminuire quelle stagionali. Le estati sono quasi ovunque fresche e ventilate e gli inverni, soprattutto nelle aree più esposte al sole, non sono estremamente rigidi. Le precipitazioni sono abbondanti e aumentano dal litorale ai versanti delle Prealpi, sono soprattutto autunnali sulle coste adriatiche, primaverili e autunnali in pianura ed estive in montagna, dove in inverno si registrano copiose nevicate.
Il Veneto, protetto dalla catena alpina dai venti settentrionali, risente dell’azione dello scirocco, caldo e umido, della tramontana e della bora, fredde e asciutte, forti e impetuose. Le nebbie invernali sono molto frequenti e dense, soprattutto nella bassa pianura.

 

La gastronomia

Il mais è la materia prima per la preparazione della polenta,
inseparabile complemento di molti piatti veneti.

La variegata gastronomia veneta non è legata solo all’introduzione delle spezie dalle Americhe e dalla Cina – importate grazie ai commerci marittimi dei galeoni della Serenissima Repubblica –, ma anche alla commistione tra ingredienti poveri come il riso, i legumi e la polenta, e altri ricchi come la carne e i prodotti del mare. Tutto questo apre un incredibile ventaglio di sapori e di aromi, che riesce a soddisfare i palati più semplici ma anche i più esigenti.

Gli antipasti sono numerosi, sia di mare sia di terra. Tra i più noti si possono ricordare le anguille appetitose – lattarini fritti e serviti con aceto e sale –, il baccalà mantecato – sminuzzato e cotto al vapore con sale, pepe, noce moscata e prezzemolo tritato –, le sarde in saor – fritte e stratificate con cipolle, cotte con olio extra vergine, spruzzate di aceto, zucchero, pinoli e uvetta sultanina –, lo storione del Po – lessato e servito a fettine con olio extra vergine –, la granseola – spolpata e servita con olio extra vergine, aglio e prezzemolo –, le sardine all’olio in salsa, con aglio, burro, pomodoro, sottaceti e uova sode.

Tra i salumi, i più gustosi sono il prosciutto crudo veneto-berico-euganeo, riconosciuto DOP così come la soprèssa vicentina. Altrettanto stuzzicanti sono la brasolara – a base di tagli pregiati di suino, un impasto crudo a grana grossa con al centro un filetto, stagionata almeno 10 mesi –, la coppa di testa d’Este – un insaccato di carni suine cotte, inserite in un budello naturale, composto da guancia, lingua e cotenna –, la pancetta col tocco del Basso Vicentino – prodotta con il filetto o con il capocollo –, le pendole del Bellunese – ottenute con carni suine e bovine gradevolmente affumicate –, la bondola affumicata – insaccato stagionato di carne suina tritata e mescolata con sale, vino rosso e pepe –, la bondola di Adria, ancora più stagionata e servita con purea di patate, la sopressa del Pasubio, il salame d’asino e quello di cavallo, gli sfilacci di Padova, sempre a base di carne equina.

Numerosi sono i primi piatti, tra i quali spiccano i bigoli – specie di grossi spaghetti – con sugo d’anatra, col tocio – sugo – oppure con le sarde.
I casunsei all’ampezzana sono ripieni di bietole, quelli di zucca oppure di spinaci e prosciutto cotto sono serviti con burro fuso e ricotta affumicata, così come gli intriganti gnocchi alla cadorina. Le lasagne da fornel sono condite con burro, noci, uva sultanina e mele grattugiate, e molto amate sono anche la pasta e fagioli con il piedino di maiale, la zuppa di trippa e la zuppa scaligera.

Il riso è la base di piatti molto variegati, come la castradina – un risotto con pezzi di castrato affumicato –, i risi e bisi – risotto con piselli, burro, pancetta di maiale, aglio e cipolla –, la minestra di risi e verze con la salsiccia, il riso in cavroman di origine orientale – con carne di castrato –, il riso alla lamonese con il passato di fagioli bolliti, il riso con i bruscandoli, con i finocchi e quello con l’immancabile radicchio rosso di Treviso. E poi ancora il riso in brodo di pesce, tipico della zona di Rovigo, il riso alla chioggiotta – con i ghiozzi passati al setaccio –, alla sbirraglia con brodo e pezzetti di pollo, e il risotto polesano con anguilla, cefalo e branzino.

Anche tra i secondi non c’è che l’imbarazzo della scelta e tra quelli di mare spiccano il delizioso baccalà alla vicentina, fatto cuocere su un fondo di cipolle, aglio, acciughe e prezzemolo, il bisato in tecia e il bisato sull’ara, due modi di cuocere l’anguilla in teglia, l’aringa salata scopeton, e le seppie al tegame.

L’asiago è un ingrediente delle stuzzicanti
cipolle al sale con fonduta.

Secondi gustosi sono l’anatra ripiena, il cappone alla canèvera – farcito con erbe aromatiche e bollito nella vescica di bue –, il pollo alla padovana, i cavreti de Gambellara – capretti allo spiedo con farcia di erbe aromatiche –, la faraona in tecia cotta al coccio e il fegato alla veneziana, preparato con fegato di vitello, cipolle bianche, burro, olio extra vergine, sale, pepe e prezzemolo tritato. E poi i torresani allo spiedo – piccioni cotti al fuoco di legna –, il capriolo marinato con erbe aromatiche, la pastissada de caval e alla feltrina – rispettivamente uno stufato di cavallo con pomodoro e uno di manzo –, la fongadina – umido di coratella di vitello con funghi servito con polenta –, il maiale al latte e la luganega, insaccato di carne di collo e di guanciale.

I prodotti dell’orto si ritagliano un ruolo importante sulle tavole venete, soprattutto gli asparagi alla bassanese, i fagioli di Lamon in salsa di acciughe, i funghi in cotoletta con prosciutto crudo, formaggio, uova e sale, il radicchio rosso di Treviso alla brace e il fresco radicchio variegato di Castelfranco.

I formaggi DOP più apprezzati sono il monte veronese, il montasio, la casatella trevigiana e soprattutto l’asiago – a pasta dura quando è stagionato, ottimo da grattugia –, in particolare quello delle apprezzate forme di vèzzena stravecchie, prodotte al Passo di Vèzzena, sul versante trentino dell’Altopiano di Asiago.

Alcuni dolci veneti sono diffusi in tutto il territorio regionale, altri sono tipici solo di alcune località. I famosi baicoli sono delicati biscotti da intingere nel vino o nella cioccolata calda, i bussolà sono preparati con pinoli, canditi, mandorle, cioccolato in pezzi, pepe e noce moscata, la fregolotta è a base di mandorle e scorza di limone grattugiata, e le frìtole sono frittelle di farina, uva passa, pinoli e canditi. E poi ancora si possono ricordare la fugazza – dolce freddo di panna –, i galani veneziani – chiacchiere fritte e spolverate di zucchero –, il mandorlato di Cologna Veneta, la pinza dolce – a base di farina gialla e bianca con semi di finocchio, uvetta, fichi secchi e scorza di arancia – e la sabbiosa, una torta prodotta con farina, fecola, burro, vanillina, lievito in polvere, sale e una spruzzatina di Anisette. Senza dimenticare il pandoro, tipico dolce di Verona ormai diffuso in tutta Italia per le feste natalizie, alter ego del panettone milanese.

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